La Burrida


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Nello stomaco un calamaro e una burrida fanno glu glu. La bocca è impastata, la testa suonata. Alle cinque della tarda, squilla il telefono. E’ la mia amante torinese che mi trattiene dolcemente per un’ora e mezzo sulle proprietà micro-strutturali e macro testuali di un manoscritto che ho avuto l’imprudenza di inviarle.

La testa è sempre più intronata, la bocca sempre più impastata. Una poesia che comincia tra parentesi. Mi chiudo in camera e mi butto nel lavoro. Scrivo correggo s-cancello ri-scrivo, ma i pensieri ancora vagano. Bussano. È Riccardo. Entra, chiudi la porta e siediti. Che c’é? Tutto a posto. Perché non suoni più il piano? Mi hai chiamato per questo? No, è che mi sento l’uomo che non sta in nessun posto. Ma sei a casa. Già. Beh, io vado. D’accordo. Torno al lavoro, ma mi assale il dubbio che si sia fatto tardi. Santa miseria, sono le sette e mezzo e  sono in alto mare. Penso -però, è stato bello oggi, mi pareva di muovermi da chissàdove verso dovunque, tutto si muoveva. Tutto tranne la Burrida nello stomaco. È che vorrei lasciarmi andare anch’io a momenti destabilizzanti. Forse faccio in tempo per andare a parlare coi  Venditori di Passi Giganti. Dai, che ce la fai.

Drin drin, il telefono. È mia nonna Rina che ha centottanta anni, sveglia dopo una Notte Azteca. Vieni, ti prego che non ce la faccio a tirare su la tapparella. Nonna, te lo detto che la devi cambiare quella dannata tapparella doppiostrato-in-acciaio-antifurto che ci vuole maciste per tirarla su tutte le volte che cade giù.

Prendo la macchina e corro. Nonna Rina è in trance da tapparella, il settore manutenzioni metalmeccaniche non è il mio forte. Mi sono giocato più di mezzora. Adesso sono proprio suonato, torno a casa. Riccardo suona al piano un brano che corre su rotaie saettanti. Claudio mi prepara un tè. In questa tazza si sbattono rabbia e attesa. I Venditori sono andati ormai. Al diavolo!

Devo chiudere il lavoro e i miei pensieri sono sempre lì, ma li mando a dormire stanotte. Mi fermo. Respiro. Un Pan Materasso è quel che ci vuole. Mi stendo cercando di capire in che modo uscir fuori dalla calamità di polvere ed eternità. Non ho più la bocca impastata. Non sento più il Calamaro e la Burrida. Forse sono nascosti in qualche parte nascosta del mio Sé.